top of page

Un passo dietro l’altro

di Silvano Calzini


Non era alto ma nemmeno basso, né grasso né magro, di un’età indefinita, non aveva niente di particolare, eppure era unico e non lo potevi confondere con nessun altro. Tutti i giorni passava con quella sua aria compunta mentre andava non si sa dove. Mi sembra di rivederlo, con quel suo eterno cappottino che metteva a novembre per toglierselo a marzo e sostituirlo con una strana giacca di renna. Quando arrivava il caldo indossava delle camicione chiare che teneva fuori dai pantaloni. Gentile e cortese, si scappellava quando incrociava qualche vicino di casa, ma era un tipo che non dava confidenze. Mai che l’abbia visto parlare con qualcuno.


Era un uomo che aveva l’abitudine di andare dietro alle persone. Nel senso che le seguiva. Senza nessuna ragione precisa, individuava qualcuno e cominciava a pedinarlo. Metodicamente, in modo sistematico; per giorni, settimane, mesi, fino a quando arrivava a conoscere ogni particolare del soggetto. Dove abitava, gli orari, il posto di lavoro, gli incontri, le piccole e grandi abitudini di tutti i giorni. Non aveva nessuno scopo nel farlo, né alcun obiettivo da raggiungere, ma sentiva che lo doveva fare. Per lui alzarsi al mattino, uscire di casa e andare ad aspettare qualcun altro per poi seguirlo era un istinto del tutto naturale, come la fame, la sete o il desiderio sessuale. Donne o uomini, non faceva distinzioni. Il “contatto”, come lo chiamava lui, vale a dire la scintilla che ogni volta metteva in moto il meccanismo scoccava all’improvviso e per ragioni misteriose. Allo stesso modo arrivava un momento in cui sentiva che ormai aveva esaurito il suo compito e che poteva abbandonare la persona che aveva seguito per giorni. A quel punto passava a un altro e tutto ricominciava daccapo.

Aveva cominciato da ragazzo, durante gli anni del liceo. Allora era poco più di un gioco che si divertiva a fare mentre tornava a casa da scuola. Scoprire i motivi che stavano alla base di questo suo comportamento e penetrare negli ingranaggi mentali che ne erano all’origine non lo aveva mai interessato. Poi, come una chiazza di petrolio, la cosa aveva cominciato a espandersi, fino a invadere ogni spazio della sua vita, e a diventare l’attività a cui lui si dedicava anima e corpo. In senso letterale, perché oltre che a praticarla tutti i santi giorni, ne era ormai diventato anche un teorico.

Per natura non era un tipo portato a supporre troppo di sé stesso, ma in tutta onestà era giunto alla conclusione che i veri, grandi, maestri nell’arte di seguire gli altri non superassero il numero delle dita di una mano in tutto il mondo. Oltre a lui, si intende. Per prima cosa era indispensabile avere una predisposizione naturale a questo tipo di attività. Poi ci volevano occhio vigile, una buona resistenza fisica e pazienza in dosi industriali. Era un lavoro di cesello, che avanzava a piccole tappe, giorno per giorno. I tasselli del mosaico andavano raccolti uno alla volta, spesso dopo avere superato intoppi e incidenti di percorso. Se uno si faceva prendere dalla frenesia e dalla smania combinava solo disastri e non arrivava a niente.

Per quanto nel corso degli anni avesse affinato la sua tecnica, le brutte sorprese erano sempre dietro l’angolo. Quante volte gli capitava di vedere la persona che stava seguendo infilarsi in un palazzo e non uscire più per ore e ore, oppure salire all’improvviso su un taxi e allontanarsi mentre lui restava lì sul marciapiede, deluso e impotente. In un certo senso erano gli incerti del mestiere, ma doveva ammettere, anche se gli costava parecchio, che in quei momenti avvertiva il fruscio della stupidità passargli accanto. Allora tornava a casa cupo, con in bocca il sapore amaro della sconfitta e quella sensazione che ti lascia un sogno interrotto da un brusco risveglio. Ma tutto questo non incrinava la sua determinazione. Il mattino dopo sarebbe stato davanti all’abitazione della persona che lo aveva seminato, pronto a riprendere la sua implacabile opera di pedinamento, spinto da una forza e da un principio superiori.

Come detto, era diventato un autentico virtuoso nel suo genere e in quanto tale a volte, così, tanto per rompere la monotonia di un inseguimento che magari si protraeva da ore, amava concedersi qualche preziosismo. Mentre seguiva qualcuno, all’improvviso si spostava sul marciapiede opposto, e da lì continuava a tenere d’occhio la persona. Era quella che lui chiamava “tecnica diagonale”, che richiedeva grande concentrazione e visione periferica. Quando il rischio di perdere la “preda” diventava troppo alto bisognava essere pronti a riattraversare la strada per tenere la situazione sotto controllo. Sapeva come muoversi in ogni situazione. Se il pedinamento si svolgeva in una strada del centro o in un ambiente affollato, come per esempio un grande magazzino o un autobus nell’ora di punta, c’era il pericolo di perdere di vista il soggetto. Era quindi necessario “stringere”, vale a dire avvicinarsi il più possibile alla persona da controllare. In situazioni più tranquille invece, poteva “dare corda” e restare a grande distanza.


Per principio aveva un rispetto assoluto nei confronti di quelle che per molti versi erano le sue “vittime”. Mai nessuno si era accorto di essere seguito e controllato e lui non aveva mai fatto nulla che interferisse nella vita di queste persone. A forza di seguirli ovunque arrivava a sapere tutto di loro, a volte anche cose inconfessabili, ma si fermava sull’uscio di quelle vite. Osservava tutto, prendeva nota mentalmente di ogni dettaglio, ma non giudicava. Era consapevole di essere un maniaco, ma non un moralista, anzi, si considerava uno spirito libero. D’altra parte è cosa nota che più un uomo ha una natura aperta, immaginifica, soggetta alle fantasie e ai dubbi, e più ha bisogno, se non vuole perdersi, di ancorarsi a un codice di comportamento, a delle regole, chiamatele ossessioni se volete, e di attenervisi in modo maniacale. Una zavorra per non volare via. Insomma, anche se a modo suo, era un tipo corretto e rispettoso. Eppure c’era qualcosa di spietato in lui. Quando individuava qualcuno da seguire era come se afferrasse una preda per la gola e a quel punto non la mollava più.

Una vita non sempre facile la sua, costellata di estenuanti attese, ore e ore passate in balia della volontà di qualcun altro, sacrificando interessi, piaceri, amori, amicizie. Poi, per fortuna, ogni tanto il “grand tour”. Aveva ribattezzato così quelle giornate formidabili nelle quali riusciva a seguire qualcuno dalla mattina alla sera. Senza intoppi, senza scomparse improvvise. Dal momento in cui la persona usciva di casa, lui gli si piazzava alle spalle e via, un passo dietro l’altro, per le strade della città, su e giù per i mezzi pubblici, dentro e fuori i negozi. Magari ogni tanto lo vedeva infilarsi in un palazzo, temeva di averlo perso per quel giorno e invece come per magia dopo dieci minuti rieccolo. E allora la cavalcata continuava inarrestabile. In quei momenti avvertiva l’ebbrezza dell’immedesimazione totale e assoluta con chi stava seguendo. Per certi versi diventavano una persona sola. Il tutto fino a sera, quando lo vedeva rientrare a casa. A quel punto anche la sua giornata era finita. Esausto e prosciugato di ogni energia, raggiungeva il suo appartamento dove si abbandonava sulla sua poltrona preferita. Accendeva una piccola abat-jour e restava lì nella penombra a godere quei momenti se non di felicità, che è una parola sempre troppo grande da usare, senz’altro di soddisfazione. Del tutto simili a quelli successivi a un amplesso; un misto di appagamento, serenità e spossatezza. La prova provata che vivere non è del tutto inutile.

Certo, se qualcuno avesse mai scoperto il suo segreto, è probabile che avrebbe finito per perdersi nel labirinto costituito dagli itinerari della sua mente e lo avrebbe preso per matto. Ma la cosa non scalfiva l’intima certezza che aveva lui. Il nocciolo duro della sua vita, il senso della sua esistenza, erano lì. Al di là della sua stessa volontà. C’è chi nasce per fare il musicista, l’uomo d’affari, il calzolaio o qualunque altra cosa. Ebbene, lui era nato per andare dietro alle persone.


Per lungo tempo è stata una figura familiare a molti nel quartiere, anche se nessuno sarebbe stato in grado di dire con esattezza chi fosse, che cosa facesse e come vivesse. Uno di quei tipi che tutti vedono per anni, ma che poi in realtà nessuno conosce davvero. Era tutto ed era niente. Poi a un certo punto è scomparso. Un bel giorno ha preso cappello, si è chiuso la porta alle spalle, ha salutato la compagnia ed è sparito. Anzi, tanto per non disturbare, si è pure risparmiato i saluti. Semplicemente, non si è più visto.


bottom of page